Francia: l'islam radicale e lo spirito di Monaco

C’è chi grida alla censura, chi denuncia l’autocensura. Tra stampa e potere, in Francia sono giorni di cortocircuito. La nuova legge sulla sicurezza vieta di trasmettere dati e notizie che consentano di identificare i poliziotti in servizio. Dopo due anni di botte per strada tra gilet gialli e polizia, con molti feriti, qualcuno grave, è una misura non certo destinata ad attenuare la tensione. I giornalisti protestano, qualche migliaia in piazza sabato a scorso a Parigi e Marsiglia, ma non certo le folle. Dopo l’insegnante decapitato, l’assalto al coltello con tre morti nella chiesa di Nizza, la maggioranza chiede protezione più che dichiarazioni di astratta libertà. Un discusso sondaggio rivela che il 20 per cento dei francesi sarebbe oggi disponibile a votare per il generale in pensione Pierre De Villiers all’elezione presidenziale. Come a ogni sondaggio si può credere o no, ma è certo che intanto il generale, 64 anni, ex capo di stato maggiore dell’Armée, si prepara: pubblica un libro e ha uno staff al lavoro.
Tutto questo succede mentre Emmanuel Macron ha intrapreso l’ennesima offensiva mediatica per rimontare una china che lo vedeva di nuovo in discesa. Al New York Times ha dato un’intervista per spiegare la laicità alla francese al quotidiano che aveva largamente derubricato la decapitazione del professore di storia, titolando inopportunamente sull’uccisione del suo boia islamico da parte della polizia e non sull’attentato. Irresistibile impulso parigino da “donneur des leçons” (donatore di lezioni) che gli anglosassoni hanno assorbito con fair play, confermando però l’irriducibilità dei due modelli: comunitario al di là dell’Atlantico e della Manica, integrazionista intorno alla Tour Eiffel. Sotto accusa c’è la dispensa forzata di “laicità” che è cos...
Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.